La Cassazione ribadisce che la determinazione del compenso dell’avvocato deve avvenire in forma scritta, nonostante il disposto dell’art. 13 della legge 247/2012
Cassazione civile, sez. VI, 08 Settembre 2021, n. 24213. Pres. Lombardo. Est. Tedesco.
Avvocato – Compenso – Determinazione – Forma – Art. 2233 c.c. e art. 13 legge 247/2012 – Distinzione
A pena di nullità, il patto di determinazione del compenso dell’avvocato deve essere redatto in forma scritta ai sensi dell’art. 2233 c.c., comma 3, c.c., prescrizione che non può ritenersi implicitamente abrogata dalla L. n. 247 del 2012, art. 13, comma 2, la quale stabilisce che il compenso spettante al professionista sia pattuito di regola per iscritto, norma, questa, che non si riferisce alla forma del patto, ma indica che il momento in cui stipularlo è quello del conferimento dell'incarico. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)
Fatti e motivi
L'avv. X.V. ha proposto ricorso straordinario per cassazione contro l'ordinanza del Tribunale di Foggia, con la quale è stato liquidato in suo favore, quale compenso per l'attività difensiva svolta in favore di Z.O. s.n.c. in un giudizio civile, un importo inferiore rispetto alla richiesta. Il Tribunale, in particolare, ha riconosciuto, sulla scorta delle deposizioni testimoniali, l'esistenza di un accordo fra le parti per la determinazione del compenso.
Il ricorso è proposto sulla base di tre motivi. Il secondo di tali motivi denuncia la violazione dell'art. 2233 c.c., comma 3, secondo il quale è nullo, se non redatto in forma scritta, il patto fra avvocato e cliente con il quale si stabilisce il compenso professionale.
Il ricorso è stato fissato dinanzi alla sesta sezione civile della Suprema corte con proposta di manifesta fondatezza del secondo motivo di ricorso.
Z.O. s.n.c. ha resistito con controricorso.
Il secondo motivo è fondato e il suo accoglimento determina l'assorbimento degli altri motivi (il primo riguardante la valutazione delle prove; il terzo sulle spese).
Ex art. 2233 c.c., comma 3, il patto di determinazione del compenso deve essere redatto in forma scritta, sotto pena di nullità. Si osserva che la norma non può ritenersi implicitamente abrogata dalla L. n. 247 del 2012, art. 13, comma 2: tale norma stabilisce che il compenso spettante al professionista sia pattuito di regola per iscritto. Infatti, secondo l'interpretazione preferibile, la novità legislativa ha lasciato impregiudicata la prescrizione contenuta nell'art. 2233 c.c., comma 3. In base a questa interpretazione, la norma sopravvenuta non si riferisce alla forma del patto, ma al momento in cui stipularlo: essa, cioè, stabilisce che il patto deve essere stipulato all'atto del conferimento dell'incarico (cfr. Cass. n. 11597 del 2015). Si osserva che se il legislatore avesse realmente voluto far venir meno il requisito della forma scritta per simili pattuizioni, è ragionevole ritenere che avrebbe provveduto ad abrogare esplicitamente la previsione contenuta nell'art. 2233 c.c., comma 3, il quale commina espressamente la sanzione della nullità per quei patti che siano privi del requisito formale ivi prescritto. Chiarito che il requisito formale è prescritto a pena di nullità, valgono le regole generali: a) la scrittura non può essere sostituita da mezzi probatori diversi (Cass. n. 1452 del 2019), neanche dalla confessione (Cass. n. 4431 del 2017), né è applicabile il principio di non contestazione (Cass. n. 25999 del 2018); b) ai sensi dell'art. 2725 c.c., la prova testimoniale è ammissibile nella sola ipotesi dell'art. 2724 c.c., n. 3, di perdita incolpevole del documento (Cass. n. 13459 del 2006; Cass. n. 13857 del 2016); c) l'inammissibilità della prova, diversamente da quanto avviene quando il contratto deve essere provato per iscritto (Cass., S.U., n. 16723 del 2000), è rilevabile d'ufficio e può essere eccepita per la prima volta anche in cassazione (Cass. n. 1352 del 1969; Cass. n. 281 del 1970).
Il tribunale non si è attenuto a tali principi.
L'esistenza dell'accordo è stata ritenuta provata grazie alla prova per testimoni e sulla base di una corrispondenza intercorsa fra le parti. La considerazione congiunta di tali elementi ha indotto il giudice a ritenere verosimile che le parti avessero raggiunto un accordo di analogo contenuto a quello riguardante le cause che il professionista curava per la diversa società Z.O. soc. coop. a r.l.
Il tribunale, in ultima analisi, ha ritenuto raggiunta la prova dell'accordo per la determinazione del compenso sulla base di una presunzione, non tenendo conto che l'esistenza del requisito di forma non può essere sostituito da mezzi probatori diversi.
L'ordinanza, pertanto, deve essere cassata e la causa rinviata al Tribunale di Foggia, che, in persona di diverso magistrato, provvederà a nuovo esame attenendosi al principio di cui sopra e liquiderà le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
accoglie il secondo motivo; dichiara assorbiti i restanti motivi; cassa l'ordinanza in relazione al motivo accolto; rinvia la causa al Tribunale di Foggia in diversa composizione anche per le spese.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6 - 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 5 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 8 settembre 2021.