MedicoResponsabilita


Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 02/06/2021 Scarica PDF

Obiezione di coscienza e interruzione volontaria di gravidanza: il medico obiettore non può rifiutarsi di prestare assistenza

Francesca De Carlo, Avvocato


Sommario: Abstract; 1 – La massima; 2 – Il caso; 3 –  La soluzione giuridica; 4 – Riflessioni conclusive

 

 

Abstract

Il presente contributo rappresenta un approfondimento della sentenza 17 novembre 2020 – 13 maggio 2021 n. 18901 che, con riferimento all'aborto farmacologico, praticato attraverso la somministrazione della pillola RU486, ha escluso la possibilità di poter eccepire l'obiezione di coscienza, in virtù delle statuizioni contenute nell'articolo 9 della L. n. 194/78, da parte del sanitario che si sia rifiutato di compiere l'ecografia, in quanto trattasi di atto di semplice assistenza.

 

1. La massima

Nell’aborto indotto per via farmacologica la fase rispetto alla quale opera l’esonero da obiezione di coscienza è limitata alle sole pratiche di predisposizione e somministrazione dei farmaci abortivi, coincidenti con quelle procedure e attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione cui si riferisce l’art. 9 comma 3 L. 22 maggio 1978, n. 194, per il resto il medico ha l’obbligo di assicurare la cura.

 

2. Il caso

La Sesta Sezione Penale della Cassazione, con la sentenza n. 18901 del 13 maggio 2021, si è pronunciata circa la doverosa assistenza, post interruzione di gravidanza, cui è tenuto il medico obiettore.

Nel caso deciso, la Corte di Appello di Genova confermava la sentenza di primo grado, con la quale un medico in servizio presso il reparto di ostretricia e ginecologia, era stato condannato per il reato di rifiuto di atti d'ufficio, di cui all'art. 328, comma primo, c.p., per essersi rifiutato, per motivi di coscienza, di eseguire una ecografia di controllo su due pazienti che già avevano completato la procedura di interruzione volontaria di gravidanza farmacologica. In particolare, il rifiuto era avvenuto sia prima della seconda somministrazione della pillola abortiva, sia dopo la somministrazione del farmaco. Va ricordato che tra le ipotesi di interruzione di gravidanza previste dalla L. n. 194/78[1] rientrano quelle attuate attraverso l'uso della pillola avente sigla RU486, la quale ha effetto abortivo in quanto inibisce lo sviluppo embrionale causando il distacco e l'eliminazione della mucosa uterina[2].

La difesa ricorreva in cassazione lamentando, tra gli altri motivi, la violazione di legge e il vizio di motivazione quanto al giudizio di responsabilità e, in particolare, alla doverosità dell'atto d'ufficio richiesto. Osservava il ricorrente che l'art. 9, comma terzo[3], della L. n. 194/78 debba essere interpretato “in chiave evolutiva rispetto all'ambito medico-normativo esistente al momento dell'entrata in vigore” della legge richiamata. L'ecografia di controllo, volta alla verifica dell'esito positivo dell'intero  ciclo, dovrebbe essere compiuta da un medico non obiettore perchè trattasi di esame “unico, specifico e necessario” per il sanitario che ha intrapreso la procedura al fine di verificare l'avvenuta espulsione dell'embrione.

 

3. La soluzione giuridica

La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso infondato.

Sulla base della disciplina di cui all'art. 9 L. n. 194/78, ha escluso la possibilità di sollevare obiezione di coscienza nella fase di assistenza successiva rispetto all'intervento di interruzione della gravidanza. Ciò in quanto trattasi di un'attività “meramente constatativa, strumentale e prodromica” all'aborto e non direttamente finalizzata ad esso.

Nello specifico, il citato art. 9 esclude che l'obiezione possa riferirsi anche all'assistenza antecedente e conseguente all'intervento, riconoscendo sì al medico obiettore il diritto di rifiutare la pratica dell'aborto ma non di omettere di prestare l'assistenza prima ovvero dopo l'evento interruttivo della gravidanza, in quanto deve essere sempre tutelato e garantito il diritto alla salute della donna[4]. Nel caso de quo, trattandosi di aborto farmacologico, l'obiezione avrebbe dovuto limitarsi alle sole pratiche di somministrazione e predisposizione dei farmaci abortivi.

Come specificato dal giudice nomofilattico, la procedura interruttiva della gravidanza si conclude solo con l'ecografia funzionale eseguita entro due o tre settimane successive alle dimissioni. Nel caso di specie, invece, il rifiuto di eseguire l'ecografia da parte del medico obiettore era avvenuto sia prima della seconda somministrazione della pillola abortiva, prevista dalla procedura, sia nella fase successiva di somministrazione del farmaco. E' stato, pertanto, ritenuto integrato l'elemento materiale dell'art. 328 c.p., il quale punisce il rifiuto di atti qualificati, cioè quegli atti motivati da “ragioni di giustizia, di sicurezza pubblica, ordine pubblico, igiene o sanità”. Come precisato dal giudice nomofilattico, il rifiuto penalmente rilevante, ai sensi del primo comma del citato articolo, è quello riguardante un atto “indifferibile”, tale perchè il suo mancato compimento è potenzialmente produttivo di pregiudizio[5].  Il medico obiettore, pur essendo stato sollecitato dalle infermiere di turno e dal direttore della struttuta ospedaliera ad eseguire l'ecografia, si è indebitamente rifiutato di visitare ed assistere la paziente e, perciò, di compiere un atto che, per ragioni di sanità, avrebbe dovuto compiere senza ritardo. Il rifiuto è qualificato come indebito perchè non trova alcuna giustificazione in leggi o disposizioni amministrative che regolano competenze e forme dell'ufficio o del servizio e l'atto che il sanitario avrebbe dovuto compiere possiede certamente le caratteristiche dell'urgenza in quanto dal suo differimento sarebbero potute derivare conseguenze dannose per entrambe le donne che hanno visto negarsi l'ecografia.

Trattasi di un reato di pericolo, “e dunque la violazione dell'interesse tutelato dalla norma incriminatrice al corretto svolgimento della funzione pubblica ricorre ogni qualvolta venga denegato un atto non ritardabile alla luce delle esigenze prese in considerazione e protette dall'ordinamento, prescindendosi dal concreto esito della omissione (Sez. 6, n. 3599 del 23/3/1997, Maioni, Rv. 207545) e finanche dalla circostanza che il paziente non abbia corso alcun pericolo concreto per effetto della condotta omissiva (Sez. 6, n. 21631 del 30/03/2017, Ferlaino, Rv. 269955)”. L'art. 9 della L. n. 194/78 subordina il riconoscimento del diritto all'obiezione di coscienza a taluni limiti, stabilendo che il personale sanitario può astenersi dalle sole attività dirette, nello specifico, a determinare l'interruzione di gravidanza e non anche a quelle antecedenti e conseguenti l'intervento[6]. Si tratta di un indirizzo di conferma di quanto già disposto nella sentenza n. 14979 del 2013, con la quale la Sesta Sezione Penale aveva disposto la reclusione ad un anno, per il reato di cui all'art. 328 c.p., ad un medico di guardia, obiettore di coscienza in servizio nel reparto di ostetricia e ginecologia, per essersi rifiutato di assistere una paziente già sottoposta ad intervento di interruzione di gravidanza :”il diritto dell'obiettore affievolisce, fino a scomparire, di fronte al diritto della donna in imminente pericolo a ricevere le cure per tutelare la propria vita e la propria salute”. Nell'aborto indotto per via farmacologica, “la fase rispetto alla quale opera l'esonero di obiezione di coscienza è limitata alle sole pratiche di predisposizione e somministrazione dei farmaci abortivi, coincidenti con quelle procedure e attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l'interruzione cui si riferisce l'art. 9 comma 3 L. n. 194/1978, per il resto il medico ha l'obbligo di assicurare la cura” (Sez. 6, n. 14979 del 27/11/2012, dep. 2013, M., Rv 254862).

Sempre a norma del summenzionato articolo, l'obiezione dev'essere preventivamente comunicata, con apposita dichiarazione consentendo al personale sanitario di non partecipare ad interventi di interruzione di gravidanza. Ciò, tuttavia, non esonera gli obiettori né dai compiti antecedenti né da quelli successivi alla predetta fase né dalle eventuali, altre, mansioni che si rendano necessarie per la salvaguardia della salute della donna in caso di situazioni non previste ed emergenziali.

Il rifiuto di effettuare l'ecografia comportò che solo dopo molte ore, un altro medico si rese disponibile ad eseguirla su una delle pazienti, mentre l'altra donna andò via dall'ospedale assumendosi un grave rischio per la salute derivante proprio dalla omissione da parte del sanitario.

 

4. Riflessioni conclusive

Nel caso di specie, la Corte ha escluso che l'imputato potesse trovarsi in una condizione di errore circa la possibilità di poter esercitare il suo diritto all'obiezione. Dall'acquisizione di cartelle cliniche di altre pazienti, risulta che il medico, sia prima che dopo gli accadimenti narrati, avesse eseguito la visita di dimissione “preceduta (…), da un accertamento ecografico”; l'imputato era anche a conoscenza della circostanza secondo la quale le ecografie di dimissioni nei giorni festivi e prefestivi erano eseguite dal medico di guardia. Non si capisce, dunque, per quale motivo in quelle due circostanze, il sanitario invocò il diritto all'obiezione, sottraendosi al compimento di un atto già svolto in altre occasioni. Per questi motivi, a parere della Suprema Corte, risponde del reato di omissione di atti d’ufficio il medico che, dichiaratosi obiettore di coscienza, si rifiuti di eseguire l'accertamento ecografico successivo all'assunzione del farmaco abortivo e prodromico alle dimissioni di una paziente e ciò in quanto, secondo l'art. 9 della L. n. 194/1978, il sanitario può solo rifiutarsi di causare l'aborto, chirurgicamente o farmacologicamente, ma non anche di prestare assistenza, trovando il diritto di obiezione di coscienza un limite imprescindibile nella tutela della salute della donna.



[1] Recante “Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza”.

[2] Nel mese di agosto 2020, successivamente al parere favorevole del Consiglio Superiore della Sanità, l'Agenzia Italiana del Farmaco ha emanato la Direttiva n. 85, “Modifica delle modalità di impiego del medicinale Mifegyne a base di mifepristone (RU486)”, con la quale si è stabilito che l'aborto farmacologico può essere effettuato fino a 63 giorni, pari a nove settimane (in luogo delle sette precedenti), compiute in età gestionale, in day hospital (in precedenza, nelle linee di indirizzo del 2010, era prevista un'ospedalizzazione di tre giorni) e anche presso strutture ambulatoriali pubbliche a ciò attrezzate.

[3] “L'obiezione di coscienza esonera il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l'interruzione di gravidanza, e non dall'assistenza antecedente e conseguente all'intervento”.

[4] Per un approfondimento: A. D'Atena, Commento all'art.9, in AA. VV., Commentario della l. 22 maggio 1978, n. 194, a cura di C.M. Bianca, F. D. Busnelli, in Le nuove leggi civili commentate, 1978, pagg., 1650 e ss.

[5] Cfr., Cass., n. 33018/2005.

[6] Per completezza argomentativa, va sottolineato che anche l'art. 16 della L. n. 40/2004, sulla procreazione medicalmente assistita, prevede “il personale sanitario ed esercente attività sanitarie ausiliarie non è tenuto a prendere parte alle procedure per l'applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita disciplinate dalla presente legge quando sollevi obiezione di coscienza con preventiva dichiarazione”, da comunicarsi al direttore dell'azienda sanitaria locale o dall'azienda ospedaliera, nel caso di personale dipendente, al direttore sanitario, nel caso di personale dipendente da strutture private autorizzate o accreditate.


Scarica Articolo PDF