FamigliaMinori
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 16/05/2017 Scarica PDF
I parametri degli assegni di mantenimento e divorzile
Giorgio Jachia, Magistrato1. Assegni per il coniuge non indipendente
Dal 1970 ad oggi tutti gli istituti del diritto di famiglia subiscono continue e significative trasformazioni, normative ed interpretative. Una delle tante ragioni della continua evoluzione del diritto di famiglia è ovviamente il mutamento della struttura sociale ed economica della coppia, oggi significativamente giuridicamente riconosciuta anche se non coniugata.
Secondo i dati Istat per il 2015 nella fascia di età tra 25 e 64 anni il 19,8% delle donne è laureata mentre il numero degli uomini laureati è di appena il 15,3%. Tanto comporta che oggi nella coppia vi sia già più parità di istruzione.
Inoltre il numero di coppie con doppio percettore di reddito da lavoro è passato dal 40% del 1989 al 50% del 2014. Ciò non di meno la percentuale di famiglie nelle quali la donna guadagna più di metà del reddito familiare passa dal 11% nel 1989 a solo il 20% nel 2014.
Quindi per metà delle famiglie si applica ancora il modello tradizionale nel quale da un lato è l’uomo a “portare a casa il pane”. (Cfr.: http://www.lavoce.info/archives/45845/nella-coppia-parita-di-istruzione-ma-non-di-reddito) e dall’altro la moglie rinuncia alle proprie aspirazioni lavorative e di crescita professionale per concentrarsi sull’educazione della prole.
Per questo non vi è alcun dubbio che gli istituti dell’assegno di mantenimento e dell’assegno divorzile abbiano e debbano continuare ad avere una forte funzione sociale di protezione del coniuge non economicamente e socialmente indipendente e debbano (nella concezione qui recepita, illustrata ed estesa all’assegno di mantenimento) essere corrisposti nella misura che permetta il raggiungimento dello scopo (l’indipendenza del coniuge secondo il nuovo orientamento giurisprudenziale) e quindi senza provocare illegittime locupletazioni.
Si tratta di comprendere che con le sentenze nn. 11504/17 e 11538/17 lo stesso collegio della Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione apre una riflessione che per la sua portata non si può fermare alla selezione dei percettori dell’assegno divorzile. In esse, infatti, si afferma che l’assegno divorzile: - ha natura assistenziale; - va disposto in favore di chi dispone di redditi insufficienti a condurre un'esistenza libera e dignitosa; deve essere contenuto nella misura che permette il raggiungimento dello scopo; non deve provocare illegittime locupletazioni.
In particolare, senza alcuna contraddizione tra di loro, nella prima sentenza si rigetta l’istanza di chi ha mezzi elevatissimi ma insufficienti a ricostruire il tenore di vita matrimoniale mentre nella seconda si concede l’assegno divorzile a chi non ha raggiunto l’indipendenza economica ma non ha provato (come ritenuto necessario dalla controparte) l’impossibilità assoluta a trovare qualunque lavoro (ma ha soltanto provato di aver cercato dei lavori). Quindi la Sentenza della Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione n. 11504 del 2017 in ordine ai criteri di selezione del diritto all’attribuzione dell’assegno divorzile di cui all'art. 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970, come sostituito dall'art. 10 della legge n. 74 del 1987, è qui esaminata soprattutto per comprendere se possa determinare riletture di altri istituti, segnatamente dei criteri di attribuzione dell’assegno di mantenimento anch’essi non più attuali.
Tanto riferito in ordine alle novità giurisprudenziali sull’assegno divorziale, non si può non osservare che il parametro del pregresso tenore di vita è del tutto non attuale anche per l’attribuzione dell’assegno di mantenimento interinale tra la separazione ed il divorzio. Altrimenti opinando con ogni evidenza si creano false aspettative di mantenimento in capo a persone che, con il divorzio breve, di lì a poco ne perderanno il diritto atteso che se continua ad applicarsi il criterio del pregresso tenore di vita per il solo mantenimento si attribuiranno assegni che saranno revocati in tempi molto brevi in sede divorzile.
2. Evoluzioni dell’assegno divorzile
Nella prima delle due recentissime sentenze (cfr., Corte Cassazione, Prima Sezione Civile n. 11504 del 2017) si afferma che il giudice che pronuncia la sentenza di divorzio “deve verificare, nella fase dell'an debeatur … il cui oggetto è costituito esclusivamente dall'accertamento volto al riconoscimento, o no, del diritto all'assegno di divorzio fatto valere dall'ex coniuge richiedente se la domanda di quest'ultimo soddisfa le relative condizioni di legge (mancanza di «mezzi adeguati» o, comunque, impossibilità «di procurarseli per ragioni oggettive»), con esclusivo riferimento all’indipendenza o autosufficienza economica" dello stesso ….”
Si aggiunge poi (cfr., Corte Cassazione, Prima Sezione Civile n. 11504 del 2017) che il Giudice in una seconda fase di giudizio deve "tener conto", nella fase del quantum debeatur - informata al principio della «solidarietà economica» dell'ex coniuge obbligato alla prestazione dell'assegno nei confronti dell'altro in quanto "persona" economicamente più debole (artt. 2 e 23 Cost), il cui oggetto è costituito esclusivamente dalla determinazione dell'assegno, ed alla quale può accedersi soltanto all'esito positivo della prima fase, conclusasi con il riconoscimento del diritto -, di tutti gli elementi indicati dalla norma («[....] condizioni dei coniugi, [....] ragioni della decisione, [....] contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, [....] reddito di entrambi [....]»), e "valutare" «tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio», al fine di determinare in concreto la misura dell'assegno di divorzio; ciò sulla base delle pertinenti allegazioni, deduzioni e prove offerte, secondo i normali canoni che disciplinano la distribuzione dell'onere della prova (art. 2697 cod. civ.).
Quindi, con riferimento al primo aspetto, nella sentenza in commento si afferma che non è più attuale l’orientamento di legittimità fondato sul «tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, o che poteva legittimamente e ragionevolmente fondarsi su aspettative maturate nel corso del matrimonio stesso, fissate al momento del divorzio» fissato nella sentenza delle S.U. n. 11490 del 1990, pag. 24.
La considerazione sociologica ed economica compiuta all’inizio di queste note, ci consente di osservare che il giudizio di non attualità del criterio giurisprudenziale di attribuzione dell’assegno divorzile è formulato dalla Suprema Corte nonostante che permanga la forte disparità di reddito tra i due generi, il che induce a ritenere che la spinta versa la dichiarazione di inattualità sia culturale, sociologica ovvero che tenga conto di fattori economici non interni alle coppie di coniugi.
Del resto lo stesso dr. Lamorgese (oggi estensore della sentenza n. 11504) scriveva nell’articolo “L’assegno divorzile e il dogma della conservazione del tenore di vita matrimoniale” su Questione Giustizia in data 11 marzo 2016 che la ratio della legge che nel 1987 aveva trasformato i presupposti dell’assegno di mantenimento era stata bene interpretata dalla sentenza della Cassazione n. 1652 del 1990. In particolare egli riportava un brano della motivazione di tale remota (ma a questo punto “attuale”) decisione: “A seguito della riforma introdotta dalla legge 6 marzo 1987 n. 74, all’assegno di divorzio è stata riconosciuta dal legislatore (art. 10 legge cit., che ha modificato l’art. 5 legge 1 dicembre 1970 n. 898) natura eminentemente assistenziale, per cui ai fini della sua attribuzione assume ora valore decisivo l’autonomia economica del richiedente, nel senso che l’altro coniuge è tenuto ad ‘aiutarlo’ solo se egli non sia economicamente indipendente e nei limiti in cui l’aiuto si renda necessario per sopperire alla carenza dei mezzi conseguente alla dissoluzione del matrimonio, in applicazione del principio di solidarietà ‘postconiugale’, che costituisce il fondamento etico e giuridico dell’attribuzione dell’assegno divorzile. Pertanto, la valutazione relativa all’adeguatezza dei mezzi economici del richiedente deve essere compiuta con riferimento non al tenore di vita da lui goduto durante il matrimonio, ma ad un modello di vita economicamente autonomo e dignitoso, quale, nei casi singoli, configurato dalla coscienza sociale”. «La sentenza impugnata deve essere, di conseguenza, cassata, con rinvio, anche per le spese di questa fase, ad altra sezione della Corte d'appello di Firenze, che si uniformerà al seguente principio di diritto: "Nel giudizio per l'attribuzione dell'assegno di divorzio la valutazione relativa all'adeguatezza dei mezzi economici di cui dispone il richiedente deve essere compiuta con riferimento non al tenore di vita da lui goduto durante il matrimonio, ma ad un modello di vita economicamente autonomo e dignitoso, quale, nei casi singoli, configurato, dalla coscienza sociale". »
3. Non aderenza al testo vigente
Nell’ottica con la quale si redige questo contributo diventa assolutamente rilevante comprendere la ragione per la quale per 27 anni: a) non si è applicato il criterio di selezione dell’assegno di mantenimento proposto con la sentenza n. 1652/1990 e oggi riproposto con la sentenza n. 11504/2017; b) si è fatto riferimento al criterio del tenore di vita goduto durante il matrimonio tanto per l’assegno divorzile quanto per quello di mantenimento.
Una risposta parziale si trova nell’articolo già citato articolo del dr. Lamorgese del marzo 2016 laddove rappresenta (in estrema sintesi) che l’interpretazione dominante fondata sulla conservazione del tenore di vita: 1) non tiene conto della modifica normativa del 1987; 2) interpreta l’assegno divorzile per assicurare a uno dei coniugi la conservazione del tenore di vita avuto in costanza di matrimonio; 3) è frutto di “una concezione criptoindissolubilista del matrimonio che appare oggi anacronistica”; 4) procrastina a tempo indeterminato il momento della recisione degli effetti patrimoniali del vincolo coniugale.
Sembra emergere che il criterio della conservazione dello stesso tenore di vita fosse una fictio iuris … consapevole perché era noto fin dal 1990 (cfr., BARBAGLI, Provando e riprovando, Bologna, 1990, pag. 95) che “per mantenere lo stesso livello di vita, due persone divorziate hanno bisogno di entrate molto maggiori di quando erano sposate”.
Inoltre da sempre i divorziati costituiscono nuovi legami, hanno ulteriori figli.
Si tratta quindi di prendere atto che 27 anni dopo si recepisce la riflessione resa nella sentenza n. 1652 del 1990 ove si legge con riferimento alla norma introdotta nel 1987 “la recente riforma ha inteso, tra l'altro, scongiurare, privilegiando, nel momento attributivo, la funzione esclusivamente assistenziale dell'assegno ed eliminando, con ciò, dal sistema quell'elemento di disturbo introdotto dal "diritto vivente" mediante l'attribuzione al coniuge debole dello stesso trattamento (in via di massima) da lui goduto in costanza di matrimonio, malgrado lo scioglimento di quest'ultimo.”
4. Il nuovo parametro dell’assegno divorzile
Il nuovo orientamento giurisprudenziale individua il parametro per individuare il diritto all’assegno divorzile nel mancato raggiungimento dell’indipendenza economica del richiedente.
Tale parametro, secondo la sentenza n. 11504/2017, ha la propria base normativa nel vigente art. 337 septies, primo comma, cod. civ. secondo il quale «Il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico».
Si osserva nella decisione che il parametro della "indipendenza economica" se condiziona negativamente il diritto del figlio maggiorenne alla prestazione («assegno periodico») dovuta dai genitori, nonostante le garanzie di uno status filiationis tendenzialmente stabile e permanente (art. 238 cod. civ.) a maggior ragione può essere richiamato ed applicato, quale condizione negativa del diritto all'assegno di divorzio, in una situazione giuridica che, invece, è connotata dalla perdita definitiva dello status di coniuge - quindi, dalla piena riacquisizione dello status individuale di "persona singola" - e dalla mancanza di una garanzia costituzionale specifica volta all'assistenza dell'ex coniuge come tale;
In terzo luogo, si osserva sempre nella sentenza, anche la ratio dell'art. 337 septies, primo comma, cod. civ. - come pure quella dell'art. 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970, alla luce di quanto già osservato - è ispirata al principio dell’autoresponsabilità economica.
In realtà il principio di diritto individuato nella sentenza n. 11504/2017, come vedremo tra poco, è identico a quello espresso dall’art. 156, primo comma, c.c. laddove costituisce “il diritto di ricevere dall'altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri”.
Quindi sarebbe stato più agevole per la Cassazione compiere un riferimento all’assegno di mantenimento del coniuge separato rispetto a quello del figlio maggiorenne ma ciò non è stato possibile per il permanere di una interpretazione “non attuale” dell’istituto dell’assegno di mantenimento. Infatti è vero che il presupposto dell’assegno di mantenimento (in uno all’assenza dell’addebito) consiste nella mancanza di adeguati redditi propri ma è vero anche che “Il concetto di adeguatezza presuppone un parametro di riferimento, che è stato univocamente individuato dalla giurisprudenza nel tenore di vita goduto in costanza di matrimonio od ipotizzabile nel non più avvenuto prosieguo della convivenza.” (B. De Filippis, Mantenimento per il coniuge e per i figli nella separazione e nel divorzio, Vicenza, 2017).
5. Accertamento concreto
Dall’esame delle sentenze nn. 11504/17 e 11538/17 emerge, come già detto nel paragrafo introduttivo, che l’assegno divorzile: a) ha natura assistenziale; b) non va riconosciuto in capo a chi ha raggiunto l'indipendenza economica; c) va disposto in favore di chi dispone di redditi insufficienti a condurre un'esistenza libera e dignitosa; d) deve essere quantificato nella misura che permetta il raggiungimento dello scopo di fornire redditi sufficienti a condurre un'esistenza libera e dignitosa; e) non deve provocare illegittime locupletazioni.
I principali "indici" (non esclusivi) per accertare l’indipendenza economica dell'ex coniuge richiedente l'assegno di divorzio sono:
1) il possesso di redditi di qualsiasi specie;
2) il possesso di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari, tenuto conto di tutti gli oneri lato sensu "imposti" e del costo della vita nel luogo di residenza («dimora abituale»: art. 43, secondo comma, cod. civ.) della persona che richiede l'assegno;
3) le capacità e le possibilità effettive di lavoro personale, in relazione alla salute, all'età, al sesso ed al mercato del lavoro dipendente o autonomo;
4) la stabile disponibilità di una casa di abitazione.
5) la possibilità di procurarsi redditi di qualsiasi specie.
6. Quantificazione dell’assegno divorzile
Dalla disamina della legge sul divorzio emergono i criteri per liquidare l’assegno divorzile che sono: le condizioni dei coniugi; le ragioni della decisione; il contributo dato alla conduzione familiare; il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, il reddito di entrambi il tutto in funzione della durata del matrimonio.
Anche qui la sentenza della Prima Civile n. 11504/17 interviene precisando che il Giudice deve "tener conto", nella fase del quantum debeatur - informata al principio della «solidarietà economica» dell'ex coniuge obbligato alla prestazione dell'assegno nei confronti dell'altro in quanto "persona" economicamente più debole (artt. 2 e 23 Cost), il cui oggetto è costituito esclusivamente dalla determinazione dell'assegno, ed alla quale può accedersi soltanto all'esito positivo della prima fase, conclusasi con il riconoscimento del diritto -, di tutti gli elementi indicati dalla norma («[....] condizioni dei coniugi, [....] ragioni della decisione, [....] contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, [....] reddito di entrambi [....]»), e "valutare" «tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio», al fine di determinare in concreto la misura dell'assegno di divorzio; ciò sulla base delle pertinenti allegazioni, deduzioni e prove offerte, secondo i normali canoni che disciplinano la distribuzione dell'onere della prova (art. 2697 cod. civ.).
7. Riflessi sull’assegno di mantenimento
A questo punto si deve rappresentare che certamente l’assegno di mantenimento svolge una funzione ulteriore e propedeutica rispetto all’assegno divorzile e quindi non può avere come il divorzile solo funzione assistenziale perché permane, fino alla pronuncia del divorzio, il dovere di assistenza morale e materiale posto a carico di ciascuno dei coniugi dall’articolo 143 del codice civile. Pertanto permane il vincolo di solidarietà morale e materiale che lega i coniugi, anche se giudizialmente separati.
Ciò non di meno emergono molti indizi che stessa la confusione tra an e quantum oggi ripudiata con riferimento all’assegno divorzile resti nel "diritto vivente", seppure in forme differenti, per il criterio di selezione dei percettori dell’assegno di mantenimento nella separazione.
Infatti anche in questo caso vi sono due distinti commi nella norma; nel primo comma dell’articolo 156 c.c. si legge che al coniuge che (1) non sia addebitabile la separazione e (2) che non abbia adeguati redditi propri va attribuito il diritto a ricevere dall'altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento; nel secondo comma dell’articolo 156 c.c. si indica che: “L'entità di tale somministrazione è determinata in relazione alle circostanze e ai redditi dell'obbligato”.
Quindi alla luce di una piana e testuale lettura dell’art. 156 c.c. (raccomandata dalla sentenza n. 11504/17 per le norme dell’assegno divorzile) emerge che l’individuazione del diritto all’assegno di mantenimento vada compiuto con riferimento solo e soltanto al patrimonio del richiedente non avente redditi adeguati propri.
Inoltre dalla piana lettura del secondo comma emerge che per la quantificazione dell’entità dell’assegno si deve tener conto anche del patrimonio dell’obbligato.
Il fatto che l’entità dell’assegno di mantenimento sia ontologicamente superiore agli alimenti (spettanti anche al coniuge cui sia addebitata la separazione) ed il fatto che l’entità degli alimenti (parametrata ai bisogni primari) sia ontologicamente inferiore all’assegno di mantenimento, non influiscono sui criteri di individuazione del diritto al mantenimento. Infatti è ovvio che il presupposto del diritto al mantenimento non è il versare in stato di bisogno ma è il non avere redditi adeguati che è un qualche cosa di maggiore.
Ci si deve ora chiedere se il parametro per misurare l’adeguatezza del reddito del coniuge privo di adeguati redditi propri sia necessariamente il pregresso tenore di vita della coppia prima di separarsi, soprattutto oggi che tale parametro è stato ritenuto erroneo per l’assegno divorzile.
Noto è l’orientamento giurisprudenziale di legittimità.
Si veda Cass. Civ, Prima Sezione, 7 febbraio 2006, n. 2626 precisa: «In tema di assegno di mantenimento a favore del coniuge separato privo di adeguati redditi propri, ai sensi dell’art. 156 cod. civ., il tenore di vita al quale va rapportato il giudizio di adeguatezza dei mezzi a disposizione del coniuge richiedente, è quello offerto dalle potenzialità economiche dei coniugi durante il matrimonio, quale elemento condizionante la qualità delle esigenze e l’entità delle aspettative del richiedente; sicché, ai fini dell’imposizione e della determinazione dell’assegno, occorre tener conto dell’incremento dei redditi di uno di essi e del decremento dei redditi dell’altro, anche se verificatisi nelle more del giudizio di separazione, in quanto durante la separazione personale non viene meno la solidarietà economica che lega i coniugi durante il matrimonio e che comporta la condivisione delle reciproche fortune nel corso della convivenza».
Da ultimo si veda Cass. Civ, Prima Sezione, n 1162 del 18.01.2017 laddove statuisce che in tema di separazione personale dei coniugi, alla breve durata del matrimonio non può essere riconosciuta efficacia preclusiva del diritto all'assegno di mantenimento, ove di questo sussistano gli elementi costitutivi, rappresentati dalla non addebitabilità della separazione al coniuge richiedente, dalla non titolarità, da parte del medesimo, di adeguati redditi propri, ossia di redditi che consentano di mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, e dalla sussistenza di una disparità economica tra le parti.
Simile è il criterio individuato (cfr., Cass. Civ., Prima Sezione 12.06.2006 n. 13592) in altre decisioni: “il giudice di merito deve anzitutto accertare il tenore di vita dei coniugi durante il matrimonio, per poi verificare se i mezzi economici a disposizione del coniuge gli permettano di conservarlo indipendentemente dalla percezione di detto assegno e, in caso di esito negativo di questo esame, deve procedere alla valutazione comparativa dei mezzi economici a disposizione di ciascun coniuge al momento della separazione”. Quindi scopo dell’assegno di mantenimento sarebbe quello di “equilibrare” le capacità economiche dei coniugi.
Si veda anche Cass. Civ, Prima Sezione, 4 febbraio 2011, n. 2747 laddove attribuisce la stessa entità all’assegno divorzile rispetto all’assegno di mantenimento affermando che “la titolarità, in capo al richiedente, di un reddito che gli consenta di fruire di un tenore di vita dignitoso o agiato, ma non corrispondente a quello elevatissimo condotto durante la convivenza matrimoniale, legittima un’integrazione dell’assegno che, pur non consentendo il raggiungimento del medesimo standard di vita goduto in costanza di matrimonio, sia tendenzialmente volto a riequilibrare, sia pure in parte, la situazione economico-sociale dell’ex coniuge”. Non è chi non veda che questa sentenza analizza una fattispecie del tutto simile a quella esaminata dalla sentenza in commento n. 11504/17.
In altre parole non si possono più consentire locupletazioni (perché messe all’indice dalla sentenza n. 11538/17) tanto in sede di attribuzione dell’assegno di mantenimento nella separazione quanto in sede di attribuzione dell’assegno divorzile conferendo assegni a persone che (ex art. 156 c.c.) hanno adeguati redditi perché si deve applicare il principio di diritto reso dalla sentenza della Cassazione n. 1652 del 1990 che dispone che “la valutazione relativa all'adeguatezza dei mezzi economici di cui dispone il richiedente deve essere compiuta con riferimento non al tenore di vita da lui goduto durante il matrimonio, ma ad un modello di vita economicamente autonomo e dignitoso” ed il principio di diritto reso dalla sentenza della Cassazione n. 11504/17 che dispone che la mancanza di «mezzi adeguati» va accertata con esclusivo riferimento all’indipendenza o autosufficienza economica" del richiedente.
8. Del mantenimento dell’indipendente
Il parametro per misurare l’adeguatezza del reddito del coniuge in separazione non può essere il pregresso tenore di vita della coppia prima di separarsi o la differenza dei redditi. In particolare, alla luce del nuovo orientamento giurisprudenziale che esclude il diritto all’assegno divorzile in capo al coniuge divorziato che abbia raggiunto l'indipendenza economica, sembra del tutto incongruo attribuire l’assegno di mantenimento a chi abbia un tenore di vita post-separazione elevatissimo ma inferiore a quello matrimoniale.
Vi è anche da chiedersi perché si debba fare riferimento per la quantificazione al tenore di vita matrimoniale (frutto di sinergie tra i coniugi non più esistenti) quando invece l’art. 156 c.c. al secondo comma indica che il parametro quantitativo delle circostanze e dei redditi dell'obbligato.
Inoltre la fictio iuris insita nel concetto di preservare il tenore di vita matrimoniale appare del tutto superata anche per il mantenimento interinale tra la separazione ed il divorzio in quanto con ogni evidenza si creano false aspettative di mantenimento in capo a persone che, con il divorzio breve, di lì a poco ne perderanno il diritto.
Infatti sembra più logico provare ad applicare ad una situazione transitoria la riflessione resa dalla Prima Civile della Corte di Cassazione nella sentenza n. 11504/17 laddove (per il divorzile) individua il parametro per attribuire l’assegno divorzile nel mancato raggiungimento dell’indipendenza economica del richiedente.
Tra l’altro, paradossalmente, applicando i criteri giurisprudenziali vigenti il “coniuge non economicamente indipendente” privo di figli non ha diritto a fruire della casa coniugale mentre il coniuge indipendente economicamente ha diritto ad un assegno di mantenimento che integri il suo reddito fino a portarlo nello stesso tenore di vita matrimoniale.
Tutte queste riflessioni fanno emergere che il reale scopo dell’assegno di mantenimento dovrebbe essere di conferire al coniuge privo di mezzi adeguati al momento della separazione di acquisirli per essere al più presto economicamente indipendente.
Del resto questa lettura aderisce all’orientamento (cfr. Cassazione civile, sez. I, 11/06/2008, n. 15544) secondo il quale in specifici casi il giudice, lungi dall’affermare un diritto alla protrazione indeterminata dell'obbligo del genitore non convivente di contribuire - all'esito della separazione o del "divorzio" - al mantenimento del figlio maggiorenne convivente con l'altro genitore, anche quando il figlio abbia raggiunto un'età che renda particolarmente colpevole e negligente la sua mancanza di attività lavorativa e di redditi, afferma invece che è possibile attribuire ancora un assegno di mantenimento allo stato attuale e senza ipotecare il futuro ad un figlio ormai adulto trentenne affetto da serie problematiche che si prolungano negli anni e che ha evidentemente ancora bisogno dell'aiuto di entrambi i genitori, non essendo bastevole l'unico sostegno della madre affidataria. Tale orientamento consente di affrontare situazioni limite che, proprio come tali, devono essere considerati non alla stregua dei normali canoni interpretativi della giurisprudenza in materia, ma in un'ottica peculiare o soggettiva. In questi rari casi il giudice non premia l’ultratrentenne con una rendita parassitaria contra legem, ma soltanto gli riconosce, alla stregua delle risultanze processuali, il diritto a fruire - in un periodo di tempo in cui può ancora terminare i suoi studi universitari e/o inserirsi utilmente nel mondo del lavoro - del doveroso aiuto di entrambi i genitori, nell'adempimento di un'obbligazione di carattere contributivo del suo mantenimento, che un domani potrebbe eventualmente assumere un connotato alimentare.
In quest’ottica, applicando con i dovuti distinguo i principi resi dalla Corte di Cassazione per l’assegno divorzile con le sentenze nn. 11504/17 e 11538/17, l’assegno di mantenimento per il coniuge separato:
a) non dovrebbe essere riconosciuto in capo a chi abbia raggiunto l'indipendenza economica;
b) andrebbe disposto in favore di chi disponga di redditi insufficienti a condurre un'esistenza libera e dignitosa;
c) dovrebbe essere quantificato nella misura che permetta il raggiungimento dello scopo di fornire redditi sufficienti a condurre un'esistenza libera e dignitosa, senza provocare illegittime locupletazioni;
d) dovrebbe essere finalizzato ad attribuire al coniuge privo di mezzi adeguati di acquisirli per essere al più presto economicamente indipendente.
Questa lettura si fonda sul dovere di assistenza morale e materiale posto a carico di ciascuno dei coniugi dall’articolo 143 del codice civile perché da tale vincolo di solidarietà morale e materiale (legante i coniugi anche se giudizialmente separati) scaturisce solo il diritto ad essere mantenuti se privi di adeguati mezzi propri, non ad essere mantenuti se già indipendenti economicamente.
Scarica Articolo PDF